Se ne fa un gran discutere in questo periodo.
Facciamo chiarezza. Non esiste una definizione protocollare né istituzionalmente avvalorata di “Vino Naturale”. E’ un po’ come dire “cibo genuino”: può significare la qualsiasi. Occhio, dunque.
Fatta eccezione per quanto afferisce all’Associazione VINNATUR (http://www.vinnatur.org/), che raccoglie vignaioli e vinificatori accomunati da uno stesso afflato etico e pratico, sancito dallo statuto e avvalorato da analisi di prodotto; per il resto non esiste una definizione accreditata da enti terzi qualsiasi, come invece esiste per l’agricoltura biologica e biodinamica ed i relativi prodotti.
Ma siamo sicuri che tali accreditamenti soddisfino quanto atteso dalle definizioni e dalla nostra immaginazione? Chi di voi ha letto il protocollo dell'agr. biologica o biodinamica e dei relativi prodotti? Stessa cosa vale per i noti marchi DOP, IGP, IGT, eccetera. Tuttavia, è indubbio che per queste "etichette", la definizione esista. Seppure in pochi la conoscano davvero e ne abbiano letto i documenti di legittimazione. Vi invito a farlo che potreste scoprire un mucchio di cose!
“Vino Naturale” è dunque un termine ancora per molti aspetti ambiguo.
Cosa intendo, io, per "Vino Naturale"?
1) sia curato, in vigna come in cantina, da vignaioli vinificatori direttamente e personalmente coinvolti in tutto il processo: dalla cura del terroir e delle viti al monitoraggio delle fermentazioni
2) provenga esclusivamente dalle viti direttamente coltivate dai vignaioli vinificatori (escludendo quindi acquisti da terzi, salvo esplicita informazione in merito)
3) preveda in vigna i minimi trattamenti, con zolfo, rame e preparati organici, senza dunque diserbi, insetticidi e altri pesticidi o condizionanti chimici, entro almeno i limiti previsti dall’agricoltura biologica (e veramente rispettati, senza deroghe o altro)
4) preveda in vigna la ricerca costante di sistemi agroecologi di prevenzione delle patologie e supporto della buona salute dell'ecosistema
5) in sede di vinificazione, non utilizzi né lieviti né solfiti aggiunti, né altri additivi o correttori esterni, ma solo la cura (per durata, esposizione, tempi di miscelazione, ecc.) delle reazioni naturali della propria uva alla fermentazione
6) un vino di cui sia possibile conoscere la storia, dalla vigna ai vignaioli alla vinificazione
Insomma, un vino "trasparente" e assolutamente non artefatto.
Tutti questi elementi fanno del vino naturale un prodotto artigianale frutto delle abilità e sensibilità dei vignaioli vinificatori impegnati in un percorso di ricerca del minimo impatto meccanizzato e agrochimico nel processo di produzione del vino, e del massimo risultato in termini di gradimento gustativo.
(Canne di bambù e legature in salice. Foto scattata a fine luglio 2014 in una vigna a conduzione familiare trigenerazionale. Viti franche di piede. Uno dei vignaioli vinificatori, fino al 15 luglio ha visitato quotidianamente la vigna, provvedendo alla defogliazione manuale e situata utile a contrastare gli effetti patogeni delle continue e ricorsive piogge, oltre chè degli elevati tassi di umidità. Una strategia che ha permesso di non incrementare le irrorazioni di rame)
“Un vino così non può essere buono! Il vino deve essere prima di tutto un buon vino!”, gridano taluni.
Un vino così può essere percepito buono o cattivo, più o meno difettoso, in base alla sensibilità dell’assaggiatore e all’abilità del vignaiolo vinificatore. Come per qualsiasi altro cibo.
Esistono centinaia di modi di produrre lo stesso cibo. Pensiamo all’insalata di un orto sinergico e a quella di un orto estensivo altamente meccanizzato e chimicizzato. Entrambe possono essere percepite molto “belle” o “brutte”, molto “buone” o “cattive”.
I processi produttivi condizionano la qualità dei cibi, sia negli aspetti oggettivi (quantità di certi elementi fisico-chimici, come i solfiti nel vino, o la presenza di fibre, grassi, perossidi, vitamine, oligoelementi e altre caratteristiche organolettiche, di forma, colore, dimensione, ecc) che in quelli soggettivi (percezione del sapore), che in quelli non misurabili ma presumibili (energie sottili), che in quelli intangibili (storia, competenze, mediazione culturale, modelli socio-economici), come pure condizionano le ricadute di impatto ambientale (impronta ecologica, zaino ecologico, ecc., ad esempio nel vino problema dell’accumulo del rame nei terreni), ma nessuno di questi elementi si identifica esattamente con una versione di qualcuno degli altri aspetti.
Quindi: un vino naturale può essere percepito pessimo o molto buono, ma questo non cambia il fatto che è prodotto in un certo modo piuttosto che in un altro, che ci sono dentro certe robe piuttosto che altre, ecc. Un vino convenzionale può essere percepito pessimo o molto buono, ma questo non cambia il fatto che è prodotto in un certo modo piuttosto che in un altro, che ci sono dentro certe robe piuttosto che altre, ecc.
Dove nasce il senso del gusto?
Nel nostro Paese stiamo assistendo a un fenomeno da questo punto di vista incredibile: da quasi un secolo il nostro senso del gusto è stato abilmente manipolato da chimici, biologi, pubblicitari e sedicenti maestri/esperti/degustatori.
La meravigliosa esperienza del sapore e del gusto è stata da un lato strumentalizzata a fini di mercato, e dall’altro imbrigliata in modelli, canoni, schede e parametri da un cieco bisogno di schematizzare, fissare, fotografare, puntualizzare….
Ma il cibo vivo è vivo, continuamente mutevole, sfuggente, e malamente si presta a queste “modellizzazioni”.
Il cibo vivo è “Neosituazionista”, direbbe il grande amico Ernesto: quest’anno vien così….l’anno dopo vien cosà…. Perché mutevoli sono le prime Sorgenti di Genesi del cibo vivo: il Sole, la Pioggia, le Stagioni, la Vitalità microbiologica del Suolo e dell’Aria, e delle innumerevoli proprietà che li compongono e animano.
Il cibo vivo reagisce alle stagioni, alle mani che lo toccano, alle temperature, ai luoghi che lo ospitano, al tempo. E cambia. Continuamente. A volte piano, a volte veloce. A volte acquisendo pregiate e apprezzate note aromatiche e mature, altre volte ahimè versando incontro alla fermentazione acetica.
E qui casca l'asino. Che per esigenze di commercializzazione anche distante, conservazione anche approssimativa e standardizzazione del sapore, si è sentita forte l'esigenza di fermarne la vitalità, attraverso l'uso di conservanti, stabilizzanti, coloranti, esaltatori di sapidità e quant'altro l'agroindustria alimentare è riuscita a inventarsi. D'altro canto, le pratiche agronomiche sempre più chimiche e meccanizzate, hanno impoverito gli ecosistemi di crescita dei cibi, impoverendo i cibi stessi di quegli enzimi utili a certi suoi utilizzi.
Anche volendo, con molte vigne, non sarebbe possibile fare vinificazione naturale poichè la biodiversità ambientale (del suolo, delle uve, della terra, dell'aria) è talmente compromessa da non ospitare la sufficiente quantità di lieviti naturali utili alla fermentazione.
E così, l'agroindustria, anche biologica, si sta attrezzando: "non vi preoccupate, dateci un campione delle vostre uve, noi rileviamo i lieviti naturali presenti, li riproduciamo in laboratorio e poi ve li ridiamo nella quantità che vi serve!".
E a chi piace così, che sia.
Lo definiranno vino naturale?
Certamente potranno definirlo biologico e biodinamico.
Diciamocelo chiaro: gli stabilizzatori delle caratteristiche di tanti cibi, servono al commercio, non alla salute né all’ambiente né al gusto.
I cibi non colonizzati da conservanti, additivi e compagnia, sono in grado di valorizzare la geotipicità più di qualsiasi marchio IGP. Vuoi l’insalata croccante e saporita delle Macchie con i fiori freschi? Bhè…devi venire alle Macchie…potrei pure imbustarla e spedirtela, ma siccome non sarà mai la stessa cosa, e in più produrremmo un mucchio di plastica e schifezze nel mondo, lasciamo perdere….se vuoi vieni qui, sennò pazienza, mangerai un sacco di buone cose dalle tue parti ;-)
Oppure: credi forse che l’olio appena franto e imbottigliato a novembre sia lo stesso quando apri la bottiglia dopo 6 mesi? Scordatelo. Sarà molto meglio, x tutti coloro che apprezzano i sapori delicati; decisamente più povero per coloro che amano il frizzore dell’olio appena franto. Ma il frizzore dell’olio appena franto, che frizzore è, se l’olio è stato franto l’anno scorso? Mah….
Insomma….riscopriamo anche il piacere di spostarci noi alla ricerca di gusti e cibi davvero tipici, anzichè pretendere che siano i cibi a girare il mondo per soddisfare i nostri palati o la nostra curiosità: tanto non sarà mai la stessa cosa, e ci condanneremo a nutrirci di cibi morti e sostanzialmente anonimi, alla faccia dei super brand e dei super bollini.
(qui a fianco l'analisi del vino rosso di casa alle Macchie, prodotto da Alberto Fatticcioni e dalla sua famiglia, secondo pratiche colturali e di vinificazione tradizionali. In vigna, solo rame e zolfo, in proporzioni ridotte anche rispetto ai protocolli del biologico; in cantina, nè lieviti nè solfiti nè altra sostanza aggiunta, e vinificazione a tradizionale Governo Toscano)
Conclusioni
Così facciamo l'olio, il miele, il vino, gli ortaggi, la frutta: nella costante ricerca delle forze naturali dei sistemi viventi cui chiediamo cibo buono. E nel dialogo con loro. Crediamo che solo così possiamo dare un contributo allo sviluppo di un'agricoltura più rispettosa dell'ambiente, più aderente ai territori e alle pratiche situate sviluppate, più capace di valorizzare le diversità e le ricchezze locali, più autonoma rispetto all'agroindustria, più sana e più viva.
Vi invitiamo tutti a venirci a trovare, a conoscerci e ad assaggiare i frutti di questo buffo viaggio.
Potreste scoprire che vi piacciono....
;-)
Primiana e Alberto.